ANNALE n. 01 (1994): Beni culturali, tutela, investimenti, occupazione

ANNALE n. 01 (1994): Beni culturali, tutela, investimenti, occupazione

 

Annali dell’Associazione Bianchi Bandinelli 

n. 1 – 1994

 

Beni Culturali,

tutela, investimenti, occupazione

 
Chiarante, Rodotà, Conforti, Pasolini dall’Onda, Vesci, Causi, Manieri Elia, La Regina, Bucciarelli
 
«Annali dell’Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli, fondata da Giulio Carlo Argan», n. 1, Roma 1994.
 
 

Sommario del volume:

G. Ch., Presentazione, p. 5
Giuseppe Chiarante, Impegno civile e criticità della ragione nell’opera di Giulio Carlo Argan, p. 9

La tutela nel mercato aperto

Stefano Rodotà, Lo stato giuridico del bene culturale, p. 15
Roberto Conforti, Le esportazioni clandestine: come combatterle, p. 23
Niccolò Pasolini dall’Onda, Alcune considerazioni di diritto comparato, p. 31
Maria Emanuela Vesci, La leva fiscale per la conoscenza e la tutela, p. 39
Roberto Conforti, Un anno dopo, p. 49

Investimenti e occupazione

Marco Causi, Spesa pubblica e occupazione nei beni culturali in Italia, p. 53
Giuseppe Chiarante, Un nuovo rapporto tra pubblico e privato per l’incremento di investimenti e occupazione, p. 89

Proposte e interventi

Mario Manieri Elia, Agro romano, periferia e centro storico nella politica culturale a Roma, p. 97
Adriano La Regina, Roma: archeologia e sviluppo urbano, p. 103
Giuseppe Chiarante, La tutela dei beni culturali fra centralizzazione e autonomia, p. 109

Documenti

Disegno di legge d’iniziativa dei senatori Chiarante, Nocchi, Alberici, Bucciarelli e Pagano, p. 119
Contro la dequalificazione dei concorsi e delle carriere, p. 137
Perché siamo contro il condono edilizio, p. 139
Sì all’autonomia, no alla privatizzazione dei musei e beni culturali, p. 140
Ripensare la politica dei beni culturali. Le proposte dell’Associazione Bianchi Bandinelli, p. 142

 

Testi qui riprodotti integralmente:

Giuseppe Chiarante, Presentazione
Documenti
Disegno di legge d’iniziativa dei senatori Chiarante, Nocchi, Alberici, Bucciarelli e Pagano
Contro la dequalificazione dei concorsi e delle carriere
Perché siamo contro il condono edilizio
Sì all’autonomia, no alla privatizzazione dei musei e beni culturali
Ripensare la politica dei beni culturali. Le proposte dell’Associazione Bianchi Bandinelli

Giuseppe Chiarante

Presidente dell’Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli

Presentazione

L’Associazione «Istituto di studi, ricerche, formazione Ranuccio Bianchi Bandinelli» è sorta, per iniziativa di Giulio Carlo Argan, alla fine del 1991, con lo scopo di offrire un terreno comune di analisi, di confronto, di scambio di esperienze, di iniziativa culturale e programmatica a studiosi, esperti, operatori che da diversi punti di vista e in differenti ambiti disciplinari sono impegnati nel campo della conoscenza, della tutela, della valorizzazione dei beni culturali e ambientali.
Ad Argan, che al momento della nascita dell’Associazione era anche senatore, stava particolarmente a cuore l’esigenza, da lui fortemente avvertita, di fornire alla politica dei beni culturali un retroterra di documentazione, di competenze amministrative e scientifiche, di rapporti diretti col mondo degli studiosi e dei tecnici più ampio di quello che finora c’è stato. Ma egli considerava non meno importante promuovere una più intensa comunicazione e un più fecondo interscambio di conoscenze e esperienze fra coloro che operano nell’Università e coloro che lavorano nell’Amministrazione della tutela; e considerava di estremo rilievo tutto ciò che può contribuire a una più ricca e qualificata formazione dei giovani, sia di quelli che si avviano all’insegnamento e alla ricerca sia di quelli che intendono operare per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio storico e culturale.
Per questo, nell’atto costitutivo dell’Associazione, le finalità fondamentali che essa intendeva perseguire erano così precisate:
— promuovere studi, ricerche, dibattiti, convegni, iniziative di analisi e documentazione attorno ai problemi della tutela e della valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale;
— svolgere attività di formazione – attraverso corsi, cicli di lezione, seminari, altre consimili attività – nel campo dei beni culturali e ambientali, con particolare attenzione per i problemi legislativi, economici, amministrativi e per l’esperienza concreta di programmazione e di intervento;
— valorizzare, attraverso studi, ricerche, pubblicazioni, l’opera di studioso, di organizzatore della cultura, di riformatore nel campo della politica della tutela, svolta da Ranuccio Bianchi Bandinelli.
Anche dopo la scomparsa di Argan, avvenuta nel novembre 1992, l’Associazione ha continuato a operare secondo le linee qui sommariamente indicate. Ci siamo particolarmente impegnati – come era ovvio – su alcuni temi più strettamente legati all’attualità legislativa e politica: come la tutela dei beni culturali nel mercato europeo aperto; un più proficuo rapporto – tra pubblico e privato -, per il restauro, il recupero, il riuso del patrimonio storico, attraverso una nuova e più organica disciplina legislativa delle politiche di agevolazioni fiscali, di mutui a tasso ridotto, di interventi di orientamento e programmazione; l’ordinamento del Ministero, l’autonomia e il decentramento, il ruolo degli Enti locali e delle Regioni, la qualificazione e le carriere del personale; il rapporto tra investimenti, redditività, occupazione; l’applicazione di una nuova legge sui Lavori Pubblici al campo specifico dei beni culturali e ambientali.
Ma abbiamo anche affrontato questioni di carattere più generale, per esempio con la Giornata di studio (che intendiamo ora proseguire) dedicata al tema del Museo. E dopo la scomparsa di Argan abbiamo promosso e stimolato la ricerca e la riflessione sulla sua opera non solo di studioso, ma di politico dei beni culturali, dedicando al rapporto tra questi due aspetti della sua personalità il Convegno tenuto, in collaborazione col gruppo del Pds del Senato, nel primo anniversario della sua morte: convegno i cui risultati sono stati raccolti nel volume Giulio Carlo Argan, storia dell’arte e politica dei beni culturali, con scritti di Aymonino, Bobbio, Calvesi, Chiarante, Contardi, Cordaro, Di Macco, Einaudi, Ferrari, La Regina, Occhetto, Ronchey, Serio, Spadolini, Tusa. Anche la pubblicazione, per iniziativa del Senato, dei Discorsi parlamentari di Argan, è avvenuta con la collaborazione, nella scelta e nella presentazione dei testi, della nostra Associazione.
Abbiamo altresì sollecitato, per quanto era nostra competenza e possibilità, una ripresa della ricerca sull’opera e in particolare sugli inediti di Ranuccio Bianchi Bandinelli; e abbiamo ora in cantiere, in collaborazione con la Regione Toscana, un convegno su «Ranuccio Bianchi Bandinelli e la proposta della Regione Toscana di riforma dell’ordinamento dei beni culturali», proposta che fu elaborata, da una commissione presieduta appunto da Bianchi Bandinelli, verso la metà degli anni settanta.
Con la stampa di questo primo volume di Annali, diamo ora avvio alla pubblicazione di testi che sono il frutto del lavoro svolto dall’Associazione e dai suoi collaboratori. I testi qui raccolti fanno particolare riferimento agli anni 1993 e 1994 e al tema «Tutela, investimenti, occupazione». Abbiamo però voluto dedicare questo primo volume (al quale — ci auguriamo — molti altri seguiranno) al ricordo di Giulio Carlo Argan: pubblicando in apertura, a questo fine, il testo del breve intervento pronunciato dall’attuale Presidente dell’Associazione in occasione della presentazione dei Discorsi parlamentari di Argan, avvenuta a Palazzo Giustiniani, sotto la Presidenza di Spadolini, il 3 marzo 1994. A questo testo abbiamo dato un titolo Impegno civile e criticità della ragione in Giulio Carlo Argan che è di per sé molto significativo: e che è anche il richiamo di un motivo ispiratore che è e resterà fondamentale per il nostro lavoro.

(g. ch)

Disegno di legge d’iniziativa dei senatori Chiarante, Nocchi, Alberici, Bucciarelli e Pagano*
Agevolazioni fiscali per l’incremento e la valorizzazione del patrimonio culturale e per l’attuazione di interventi di conservazione e restauro: modifiche e integrazioni della legge 2 agosto 1982, n. 512
* Questo testo, frutto della collaborazione fra un gruppo di senatori del Pds, l’Associazione Dimore Storiche, l’Associazione Bianchi Bandinelli e studiosi di varie discipline, è stato presentato per la prima volta al Senato il 4 agosto 1993. In questa legislatura è stato ripresentato, con pochissime varianti, dalla sen. Anna Bucciarelli e altri, il 18 giugno 1994.
 
Onorevoli Senatori. — È noto che la legge 2 agosto 1982, n. 512, ha rappresentato, per l’Italia, la prima iniziativa legislativa che ha cercato di introdurre anche nel nostro Paese un complesso organico di agevolazioni fiscali dirette a promuovere — con una più ampia partecipazione e un più radicato impegno dei diversi soggetti pubblici e privati — interventi per la conservazione, il restauro, la valorizzazione del patrimonio culturale nazionale.
Non a caso nella preparazione e nella discussione di quella legge si tenne ampiamente conto delle esperienze positivamente già compiute, in questo campo, in altri Paesi; e all’elaborazione del testo legislativo diedero un valido contributo non solo parlamentari altamente qualificati, ma anche associazioni e organizzazioni impegnate nella tutela del patrimonio culturale.
La legge n. 512 ha senza dubbio prodotto risultati importanti, soprattutto perché ha incentivato l’azione di recupero e restauro del patrimonio edilizio privato di interesse storico e culturale e anche perché ha incoraggiato le erogazioni liberali, così per interventi di restauro come per l’organizzazione di mostre e esposizioni. Gran parte della legge è però rimasta inattuata: sia per la mancata emanazione da parte del Governo del regolamento di applicazione sia per incongruenze ed incertezze dovute anche a formulazioni troppo generiche contenute nella legge stessa. Inoltre negli ultimi anni il governo ha ridotto la portata delle agevolazioni fiscali (passaggio dalla deducibilità delle spese alla detrazione d’imposta nel limite massimo del 27 per cento) pensando di fare dei risparmi e in realtà deprimendo l’attività economica, e dunque anche le entrate del fisco, in un settore particolarmente qualificato quale quello del restauro.
Una documentazione molto significativa sul rapporto tra incentivi fiscali introdotti dalla legge n. 512 ed effetti economici dell’incremento degli interventi di restauro attuati negli anni seguenti si può per esempio ricavare da una recente indagine dell’Associazione Dimore Storiche.
È però evidente — a noi pare — che, oggi, anche una piena attuazione della legge n. 512 sarebbe insufficiente rispetto all’esigenza, resa più acuta dalla ristrettezza dei mezzi posti a disposizione del bilancio statale (il solito 0,2 per cento del complesso della spesa), di mobilitare più ampiamente risorse economiche e capacità d’iniziativa in un campo strategico per l’Italia, come quello dei beni culturali: e ciò attraverso meccanismi più agili e meno burocratici e soprattutto attraverso una più razionale selezione e finalizzazione degli interventi.
L’indagine svolta dal Gruppo dei senatori del partito democratico della sinistra, in collaborazione con studiosi ed esperti di vari settori e con importanti organizzazioni operanti in questo campo (come l’Associazione Dimore Storiche o l’Associazione Bianchi Bandinelli, che ringraziamo per il loro contributo di analisi e proposte) ha messo in luce l’opportunità e la possibilità di ottenere, con una politica mirata di agevolazioni fiscali e una più razionale utilizzazione delle stesse risorse già disponibili, non già un aggravio per la finanza pubblica ma un’espansione degli investimenti e delle attività economiche ad esse connesse: conseguendo così non solo una più efficacie tutela del patrimonio culturale, ma un evidente vantaggio per l’occupazione e in definitiva per lo stesso bilancio dello Stato.
Il disegno di legge che presentiamo non si propone perciò soltanto di ripristinare nella loro impostazione iniziale misure che successivamente sono state indebolite o depotenziate (come quella relativa alla deducibilità delle spese di restauro) o di rendere applicabili — semplificando o disciplinando per legge scelte o procedure che nella legge n. 512 venivano rinviate a un regolamento che non è mai stato emanato — norme che finora non avevano trovato attuazione, come gran parte di quelle relative al pagamento di imposte mediante cessione di beni culturali.
Già l’obiettivo di ricostruire nella sua integrità o di rendere pienamente attuabile la legge n. 512 è certamente importante. Ma lo scopo che ci proponiamo è, innanzitutto, di dar vita a nuovi strumenti che consentano di impostare con più efficacia e in modo programmato una politica di ampliamento, recupero, valorizzazione del patrimonio culturale del Paese. Siamo perciò partiti dall’idea di dare un’utilizzazione più produttiva e razionale — attraverso il Fondo istituito nell’articolo 1 — a fonti di finanziamento che già oggi dovrebbero concorrere (o si era pensato di far concorrere) all’azione di tutela e di valorizzazione, ma che finora sono state sottoutilizzate o utilizzate malamente e in modo dispersivo. È il caso della parte — destinata per legge ai beni culturali, ma finora mai usata a questo scopo o usata, come quest’anno, per interventi a pioggia — della quota dell’otto per mille che in sede di dichiarazione dei redditi i contribuenti assegnano annualmente allo Stato (nel bilancio tuttavia presumibilmente sottostimata di 220 miliardi); oppure delle erogazioni liberali previste dalla legge n. 512, sin qui utilizzate in modo assolutamente dispersivo e quindi con risultati spesso discutibili; o dalla quota dei proventi delle lotterie nazionali che si era previsto di destinare (e in parte si destina, ma in modo quasi casuale) ai beni culturali.
Unificando queste fonti oggi troppo disperse è possibile dare vita a un fondo nazionale con consistenti disponibilità finanziarie, da destinare programmaticamente a questi scopi:
a) dare una dimensione e un respiro ben diversi dagli attuali a una politica di acquisti di beni culturali, sia direttamente, sia attraverso prelazione;
b) rendere effettivamente praticabile l’acquisizione di beni in cambio del pagamento di imposte, dando davvero un ruolo di protagonista in questo campo al Ministero per i beni culturali e ambientali e a tal fine prevedendo che in via normale esso risarcisca, attingendo al fondo, il Ministero delle finanze per le minori entrate fiscali. In. tal modo si elimina il contenzioso, oggi altrimenti inevitabile, fra i due Ministeri; e la necessità del concerto tra i Ministri dei beni culturali e delle finanze verrebbe limitata solo alle acquisizioni di straordinario importo finanziario;
e) effettuare gli interventi di restauro prevedibilmente necessari per i beni culturali acquisiti al patrimonio pubblico nei due modi sopra indicati;
d) finanziare una politica di crediti agevolati per il restauro del patrimonio edilizio di interesse culturale.
È chiaro che un Fondo così concepito non deve essere usato per coprire buchi in questo o quel settore della politica dei beni culturali, ma come strumento attivo di intervento per i fini indicati, anche promuovendo (come si fa in tanti Paesi), campagne straordinarie di raccolta di finanziamenti per l’acquisto o il restauro di un bene culturale di particolare valore; e in ogni caso pubblicizzando ogni anno, con congruo anticipo rispetto alla scadenza della dichiarazione dei redditi, i principali obiettivi che ci si propone e fornendo a fine anno un consuntivo dell’opera svolta.
Un secondo strumento che con la presente legge ci proponiamo di perseguire è di promuovere la costituzione e la regolare tenuta, presso il Ministero per i beni culturali e ambientali, di un vero e proprio Registro dei beni culturali vincolati, immobili o mobili: che è cosa evidentemente ben più limitata e modesta del catalogo o anche solo del censimento sommario del patrimonio culturale, ma la cui assenza (anche a causa della sovrapposizione di leggi, leggine e regolamenti, dal 1909 in poi) è — come ben sa chi è esperto di questo campo — fonte di molte incertezze circa l’esatta consistenza e identificazione dei beni vincolati. Il Registro potrà perciò dare un punto di riferimento più sicuro per l’applicazione delle varie agevolazioni previste nella presente legge: ma potrà anche avere, certamente, un’utilizzazione assai più ampia.
Per il resto gli articoli del disegno di legge che proponiamo tendono a integrare e a rendere più precise ed efficaci, in particolare semplificando le procedure, le norme già contenute nella legge n. 512, che vengono in gran parte sostituite nella loro formulazione letterale. Riassumiamo, per punti, gli altri principali obiettivi che con quest’opera di integrazione e insieme di semplificazione tendiamo a perseguire:
1) una ragionevole estensione delle agevolazioni fiscali per gli interventi sul patrimonio edilizio di interesse culturale, prevedendo esplicitamente tali agevolazioni anche per gli impianti tecnici e per quelli diretti a garantire la sicurezza e la migliore conservazione anche dei beni mobili. Viene inoltre riproposto il criterio della deduzione delle spese dal reddito anziché di una parziale detrazione d’imposta;
2) la finalizzazione delle erogazioni liberali (del tutto assente nella legge n. 512, con conseguenze negative soprattutto nel campo delle sponsorizzazioni) graduando le quote di deducibilità in relazione alla qualità degli obiettivi e consentendo così una più efficace politica di programmazione da parte delle Soprintendenze e degli altri organi preposti alla tutela;
3) la semplificazione delle procedure per il pagamento mediante cessione di beni culturali delle imposte di successione e delle imposte dirette: per queste ultime la norma della legge n. 512 non aveva sino ad oggi avuto applicazione, a causa di molte incertezze che permangono nel testo legislativo e delle troppe questioni che tale testo lasciava irrisolte e che dovrebbero invece trovare risposta nelle norme che qui suggeriamo;
4) l’incentivazione dell’attività economica di restauro e risanamento edilizio da parte di enti e privati attraverso sia la concessione di contributi diretti per le opere riguardanti le strutture portanti e le coperture, sia l’abbattimento dei tassi di interesse dei mutui pluriennali finalizzati, più in generale, al restauro;
5) l’esenzione delle imposte per l’importazione sia dei beni già facenti parte del patrimonio culturale italiano sia di opere di arte contemporanea di rilevante interesse culturale. Naturalmente queste agevolazioni, al pari di quelle previste ai punti precedenti, sono accompagnate sia da garanzie che ci paiono più rigorose di quelle piuttosto generiche contenute in alcuni articoli della legge n. 512, sia da impegni a carico del proprietario; in particolare quelli di garantire la permanenza in Italia del bene culturale e la sua accessibilità al pubblico;
6) ci pare infine che valga la pena di sottolineare che con le proposte qui formulate si tende ad ampliare le possibilità di intervento delle regioni e degli enti locali: non solo nel senso di riconoscere loro un potere di proposta e di iniziativa per l’applicazione di molte delle misure previste nella legge (per esempio per il complesso dei compiti assegnati al Fondo di cui all’articolo 1); ma anche nel senso, più specifico, di estendere a regioni e ad enti locali possibilità di acquisizione di beni culturali immobili e mobili a un prezzo che presumibilmente sarà parecchio inferiore a quello di mercato, possibilità che la legge n. 512 riservava invece solamente allo Stato.
In conclusione, oltre a introdurre ex novo gli articoli 1 e 2 che riguardano il Fondo nazionale e il Registro dei beni vincolati, il disegno di legge che proponiamo sarebbe pressoché integralmente sostitutivo (nel senso, a noi pare, di un netto miglioramento) della legge n. 512. Prevediamo in particolare l’esplicita abrogazione degli articoli 1, 2, 3, 6, 7, 8 (e loro successive modificazioni) della legge n. 512, perché tali articoli sarebbero totalmente sostituiti da quelli della legge qui proposta. Non siamo invece intervenuti sull’articolo 4, perché esso è già stato sostituito, in modo soddisfacente, dall’articolo 13 e dai commi 1 e 2 dell’articolo 25 del nuovo testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, approvato con decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, entrato in vigore il 1° gennaio 1991. Resterebbero in vigore, con le eventuali successive modificazioni, solo gli articoli 5, 9, 10, 11 della vecchia legge.
 
Disegno di legge
Art. 1
(Istituzione di un fondo per l’acquisto di beni culturali, per l’arricchimento e la valorizzazione del patrimonio culturale nazionale, per l’incentivazione di interventi di conservazione, manutenzione restauro. Deducibilità dal reddito delle persone fisiche e giuridiche delle erogazioni liberali a favore ditale Fondo)
1. È Costituito presso il Ministero per i beni culturali e ambientali un Fondo per:
a) l’acquisto di beni culturali, anche mediante l’esercizio del diritto di prelazione;
b) l’incremento del patrimonio culturale pubblico, mediante l’agevolazione della cessione di beni in pagamento d’imposte e la reintegrazione, nei modi previsti dalla presente legge, dell’erario per le conseguenti minori entrate fiscali;
c) la promozione da parte dello Stato di interventi di restauro dei beni acquisiti con le modalità di cui alle lettere a) e b);
d) l’incentivazione di interventi di conservazione, manutenzione, restauro da parte di soggetti pubblici o privati.
2. Il Fondo, iscritto in apposito capitolo di bilancio, è finanziato mediante la destinazione ad esso:
a) di un terzo della quota dell’otto per mille che le persone fisiche o giuridiche riservano allo Stato in sede di dichiarazione annuale dei redditi ai sensi dell’articolo 47 della legge 20 maggio 1985, n. 222;
b) delle erogazioni liberali in denaro che le persone fisiche o giuridiche versano al Fondo stesso, direttamente o attraverso istituzioni pubbliche, fondazioni, associazioni culturali legalmente riconosciute e senza fini di lucro. Tali erogazioni liberali sono interamente deducibili dal reddito delle persone fisiche e giuridiche per la determinazione dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef) o dell’imposta sui reddito delle persone giuridiche (Irpeg);
c) di una quota dei proventi delle Lotterie nazionali, determinata annualmente in sede di legge finanziaria.
3. Al Fondo sono trasferiti gli stanziamenti iscritti in bilancio destinati specificamente all’acquisto di beni culturali.
4. Il Ministro per i beni culturali e ambientali, anche d’intesa o su proposta delle regioni e degli enti locali interessati e sentito il parere del Consiglio nazionale per i beni culturali e ambientali, può promuovere sottoscrizioni straordinarie, anch’esse interamente deducibili dal reddito delle persone fisiche o giuridiche, per eventualità eccezionali di acquisto e restauro di beni culturali.
5. Il Fondo è amministrato da una Commissione composta dal Ministro o da un suo rappresentante, che la presiede, e da quattro studiosi o esperti, designati dal Consiglio nazionale per i beni culturali e ambientali, di cui almeno due scelti tra i membri elettivi e almeno uno fra i membri designati dalle regioni e dagli enti locali. La designazione avviene mediante elezione a voto segreto. Ogni membro del Consiglio nazionale può votare per non più di due nomi. Le spese di funzionamento dalla Commissione sono a carico del Fondo di cui all’articolo 1.
6. La Commissione ripartisce annualmente le disponibilità finanziarie del Fondo tra le finalità indicate al comma 1, con possibilità di revisione della ripartizione in corso d’anno, fatta eccezione per la somma destinata agli istituti di credito per la concessione dei mutui agevolati di cui all’articolo 12; fissa le regole e le procedure per l’utilizzo del Fondo stesso; esamina le proposte e le richieste formulate dagli organi periferici del Ministero, dalle regioni, dagli enti locali, da altri soggetti pubblici o privati e decide sui loro accoglimento.
7. Con tre mesi di anticipo rispetto alla scadenza per la dichiarazione dei redditi, la Commissione propone e pubblicizza, attraverso l’informazione stampata e radiotelevisiva, i principali obiettivi per i quali impegnare la quota dell’otto per mille destinata dai cittadini ai beni culturali; a fine anno redige e pubblicizza, con gli stessi strumenti, il bilancio complessivo dell’attività svolta, nonché l’elenco delle persone fisiche e giuridiche, delle istituzioni e associazioni che hanno contribuito con erogazioni liberali alla costituzione del Fondo.
 
Art. 2
(Registro dei beni culturali notificati)
1. Presso il Ministero per i beni culturali e ambientali è istituito il Pubblico registro dei beni culturali vincolati. In esso vengono annotati tutti i beni mobili ed immobili di proprietà privata per i quali sia intervenuta la notifica a norma della legge 20 giugno 1909, n. 364, della legge 11 giugno 1922, n. 778. della legge 1° giugno 1939, n. 1089, della legge 29 giugno 1939, n. 1497, del decreto del Presidente della Repubblica 30 settembre 1963, n. 1409.
2. Nei casi di incerta identificazione degli immobili vincolati, la Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici o la Soprintendenza archeologica competente per territorio procedono, mediante accertamento catastale d’ufficio, all’aggiornamento del provvedimento di notifica. Il proprietario di un bene non vincolato può chiedere alla Soprintendenza competente la dichiarazione di vincolo.
3. Il Ministero provvede, entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, a pubblicare gli elenchi dei beni notificati e, annualmente, al loro aggiornamento.
4. Le schede dei beni immobili notificati sono trasmesse, via via che vengono redatte, al catasto, che annota il vincolo nel certificato catastale. L’annotazione può essere richiesta al catasto anche dal proprietario dell’immobile, sulla base della notifica del vincolo o della scheda. da parte del Ministero o della Soprintendenza competente.
5. L’alienazione degli oggetti mobili elencati nel Pubblico registro, fermi restando tutti gli obblighi previsti dalla normativa vigente, avviene per atto pubblico o scrittura privata autenticata. Gli atti relativi sono soggetti all’imposta di registro in misura fissa e all’onorario notarile graduale ridotto al 25 per cento.
 
Art. 3
(Esenzioni da imposte dirette per gli immobili con destinazione ad usi culturali)
1. Non concorrono alla formazione del reddito delle persone fisiche, del reddito delle persone giuridiche nonché dei redditi assoggettati ad altre imposte a favore di regioni o enti locali ai fini delle relative imposte, i redditi catastali degli immobili totalmente adibiti a sedi, aperte al pubblico, di musei, biblioteche, archivi, cineteche, emeroteche dello Stato, di enti pubblici, di istituzioni e fondazioni, di privati, quando al possessore non derivi alcun reddito dalla utilizzazione dell’immobile.
2. Non concorrono altresì alla formazione dei redditi di cui al comma 1, ai fini delle relative imposte, i redditi catastali o proventi dei biglietti di ingresso degli edifici, parchi o giardini, che siano vincolati ai sensi delle leggi di cui al comma i dell’articolo 2, e successive modificazioni e integrazioni, sempre che da tali beni non derivi altro reddito al possessore e che essi siano totalmente aperti al pubblico nei tempi e secondo le modalità concordate con gli organi competenti del Ministero per i beni culturali e ambientali o delle regioni.
Nel caso di apertura al pubblico solo di una porzione dell’edificio, parco o giardino, l’esenzione non riguarda la parte che non sia aperta al pubblico e sia destinata ad abitazione o ad altri usi privati dei proprietari o, comunque, dei possessori. Per i parchi o giardini o quella di parte di essi che dai predetti organi sono riconosciuti come pertinenza di un edificio soggetto a tutela, si applica lo stesso regime fiscale dell’edificio.
3. Per fruire del beneficio, gli interessati devono denunciare la mancanza di reddito nei termini e con le modalità di cui all’articolo 38, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 597.
4. Il mutamento di destinazione degli immobili indicati al presente articolo senza la preventiva autorizzazione dell’Amministrazione per i beni culturali e ambientali, la chiusura non autorizzata, il mancato assolvimento degli obblighi di legge per consentire l’esercizio del diritto di prelazione dello Stato sui beni immobili vincolati determinano la decadenza dalle agevolazioni tributarie. Resta ferma ogni altra sanzione.
3. Il Ministero per i beni culturali e ambientali dà immediata comunicazione agli uffici tributari delle violazioni che comportano la decadenza dalle agevolazioni e ne invia copia al contribuente.
 
Art. 4
(Determinazione e aggiornamento dei redditi catastali degli immobili vincolati)
1. La determinazione o l’aggiornamento dei redditi degli immobili vincolati sono effettuati mediante l’applicazione della minore tra le tariffe d’estimo, previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale esse sono collocate. Qualora i predetti immobili risultino allibrati al catasto terreni, il relativo reddito catastale è ridotto a metà ai fini dell’applicazione delle imposte sul reddito.
2. Nel certificato catastale degli immobili di cui al comma 1 è annotato il vincolo cui sono assoggettati.
3. Il mutamento di destinazione degli immobili di cui al comma 1 senza la preventiva autorizzazione dell’Amministrazione per i beni culturali e ambientali o il mancato assolvimento degli obblighi di legge per consentire l’esercizio del diritto di prelazione dello Stato sui beni immobili vincolati determinano la decadenza delle agevolazioni tributane. Resta ferma ogni altra sanzione.
4. L’Amministrazione per i beni culturali e ambientali dà immediata comunicazione agli uffici tributari delle violazioni che comportano la decadenza dalle agevolazioni.
 
Art. 5
(Agevolazioni fiscali per interventi di conservazione e di restauro)
1. Oltre alle erogazioni liberali di cui ai commi 2 e 4 dell’articolo 1 sono interamente deducibili dal reddito delle persone fisiche o giuridiche, sulla base di un progetto approvato dalla Soprintendenza competente:
a) le spese strettamente attinenti alla conservazione del bene, sostenute dai soggetti obbligati alla manutenzione, protezione o restauro delle cose vincolate ai sensi delle leggi vigenti;
b) le spese per gli impianti di sicurezza e per quelli finalizzati alla buona conservazione delle cose e delle collezioni di cui, rispettivamente, agli articoli 3 e 5 della legge 1° giugno 1939, n. 1089, e delle cose vincolate ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 settembre 1963, n. 1409, anche se tali cose o collezioni sono conservate in edifici non vincolati.
2. Le spese, incluse quelle per gli impianti tecnologici, non obbligatorie per legge, ma tuttavia giudicate necessarie, nell’ambito di un progetto approvato della Soprintendenza competente, per la fruizione del bene in rapporto al suo decoro e alla sua destinazione d’uso, sono deducibili nella misura risultante da apposita certificazione richiesta dall’interessato entro il 31 gennaio, rilasciata dalla stessa Soprintendenza entro i successivi sessanta giorni.
3. La congruità delle spese di cui ai commi 1 e 2 è attestata con perizia giurata del direttore dei lavori.
4. Qualora le spese di cui ai commi 1 e 2 superino l’ammontare del reddito complessivo per l’anno cui si riferiscono, ai fini della deducibilità esse possono essere imputate, su richiesta dell’interessato, a più esercizi successivi per un massimo di dieci.
5. Alle forniture dei beni e servizi destinati alle opere di manutenzione straordinaria, protezione o restauro di beni culturali vincolati ai sensi delle leggi vigenti, realizzata da soggetti pubblici o privati, l’imposta sul valore aggiunto si applica con l’aliquota di cui alla parte Il della tabella A del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni.
6. Il mutamento di destinazione dei beni, senza la preventiva autorizzazione dell’Amministrazione per i beni culturali e ambientali, il mancato assolvimento degli obblighi di legge per consentire l’esercizio del diritto di prelazione dello Stato sui beni immobili e mobili vincolati, la tentata esportazione o spedizione non autorizzata determinano la decadenza delle agevolazioni godute e, inoltre, il pagamento di una pena pecuniaria pari all’ammontare delle agevolazioni stesse. L’Amministrazione per i beni culturali e ambientali dà immediata comunicazione ai competenti uffici tributari, e all’interessato, delle violazioni che comportano tal decadenza; dalla data di ricevimento della comunicazione iniziano a decorrere i termini per il pagamento dell’imposta dovuta, della pena pecuniaria e dei relativi accessori.
 
Art. 6.
(Deducibilità delle erogazioni liberali)
1. Sono interamente deducibili dal reddito delle persone fisiche e giuridiche, oltre a quelle indicate all’articolo 1, le erogazioni liberali a favore dello Stato, di enti o istituzioni pubbliche, di fondazioni, di associazioni culturali legalmente riconosciute e senza scopi di lucro, quando siano destinate a uno dei seguenti fini:
a) l’acquisto di beni culturali vincolati per musei statali, di enti locali, di altre istituzioni o fondazioni o di musei privati regolarmente aperti al pubblico in base a un calendario fissato d’intesa con la Soprintendenza competente;
b) la manutenzione, la protezione e il restauro di beni culturali vincolati indicati in un apposito elenco predisposto annualmente dal Consiglio nazionale per i beni culturali e ambientali, tenuto conto delle proposte formulate, nell’ambito della loro competenza, dalle regioni.
2. Sono deducibili per il 50 per cento del loro ammontare le erogazioni liberali in denaro a favore dello Stato, di enti o istituzioni pubbliche, di fondazioni e di associazioni culturali legalmente riconosciute e senza scopo di lucro, che siano destinate a:
a) l’acquisto, per musei aperti al pubblico dello Stato, di enti locali e di fondazioni, di opere di autori viventi o comunque realizzate da meno di cinquanta anni;
b) l’acquisto di beni culturali vincolati, o dei quali si proponga e venga effettivamente notificato il vincolo entro il termine di tre mesi, per collezioni private, purché l’opera sia resa accessibile al pubblico secondo modalità concordate con la competente Soprintendenza;
c) la manutenzione, protezione e restauro di beni vincolati ai sensi delle leggi vigenti, quando non siano compresi nell’elenco di cui alla lettera b) del comma 1;
d) l’effettuazione di mostre ed esposizioni o di ricerche, inventari, cataloghi che siano riconosciuti di rilevante interesse scientifico e culturale dal Consiglio nazionale per i beni culturali e ambientali.
3. Le opere acquisite fruendo delle agevolazioni fiscali di cui al presente articolo, possono essere acquistate solo con atto notarile in cui sia annotata l’agevolazione goduta e possono successivamente essere alienate solo allo Stato, alle regioni o ad enti locali.
4. Sono deducibili per il 30 per cento del loro ammontare le erogazioni liberali in denaro a favore di fondazioni e associazioni culturali legalmente riconosciute e senza scopo di lucro, per lo svolgimento di attività di studio, ricerca, documentazione, esposizione che siano conformi ai loro fini istituzionali.
5. I beneficiari delle erogazioni liberali debbono utilizzarle entro due anni secondo la loro destinazione e darne documentazione nei loro bilanci. Le somme eventualmente non utilizzate debbono essere versate al Fondo di cui all’articolo 1.
 
Art. 7.
(Pagamento dell’imposta di successione mediante cessione di beni ereditari)
1. Gli eredi e i legatari possono proporre allo Stato a scomputo totale o parziale dell’imposta di successione, delle relative imposte ipotecarie e catastali, degli interessi, soprattasse e pene pecuniarie, la cessione di beni vincolati ai sensi della legislazione vigente, o dei quali si propone il vincolo, nonché di opere di autori viventi o la cui successione risalga ad epoca inferiore al cinquantennio e alla cui acquisizione lo Stato sia interessato.
2. La proposta di cessione, contenente la descrizione dettagliata dei beni offerti e la loro valutazione, deve essere sottoscritta a pena di nullità da tutti gli eredi o dal legatario, e presentata al Ministero per i beni culturali e ambientali ed al competente ufficio del registro, nei termini previsti dal testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successione e donazioni. Nella proposta di cessione gli eredi o il legatario possono chiedere di essere sentiti personalmente o a mezzo di un loro delegato.
3. L’Amministrazione per i beni culturali e ambientali attesta per ogni singolo bene l’esistenza delle caratteristiche previste dalla vigente legislazione di tutela e dichiara entro sessanta giorni, dandone comunicazione agli eredi o al legatario, l’interesse ovvero il non interesse dello Stato ad acquisire il bene. La comunicazione positiva equivale, per i beni non ancora vincolati, a notificazione del vincolo. Per le opere di autori viventi o la cui esecuzione risalga ad epoca inferiore al cinquantennio, l’interesse dello Stato alla loro acquisizione è dichiarato dal competente comitato di settore del Consiglio nazionale per i beni culturali e ambientali.
4. Le condizioni ed il prezzo al quale lo Stato è disposto ad accettare la cessione sono stabiliti entro i tre mesi successivi con decreto del Ministro per i beni culturali e ambientali, sentito il competente comitato di settore, previa verifica della possibilità di reintegrare le minori entrate fiscali mediante versamento all’erario della somma corrispondente attingendo dal Fondo di cui all’articolo 1.
5. Qualora il Ministro decida di non far ricorso o di far ricorso solo parzialmente a tale Fondo, procede alla determinazione del prezzo e all’emanazione del decreto di concerto col Ministro delle finanze. In tal caso il termine per l’emanazione del decreto è elevato a sei mesi e ne viene data comunicazione agli eredi o al legatario.
6. Entro i due mesi successivi alla data di notifica del decreto di cui al comma 6, il proponente notifica al Ministro per i beni culturali e ambientali, a pena di decadenza, la propria accettazione.
7. Nel caso di cessione di beni mobili, i beni devono essere consegnati i trenta giorni successivi alla notifica dell’accettazione, altrimenti la cessione è annullata e l’interessato è tenuto a pagare, oltre all’imposta, una pena pecuniaria pari a un terzo del prezzo concordato. La consegna comporta il trasferimento della proprietà dei beni allo Stato.
8. Nel caso di cessione di beni immobili il trasferimento dei beni allo Stato ha effetto dalla data di notifica della dichiarazione di accettazione. Il decreto di cui al 4 comma e la dichiarazione di accettazione, con firma autenticata, costituiscono titolo per la trascrizione del trasferimento sui registri immobiliari.
9. Ai fini dell’estinzione del debito tributario, gli eredi devono produrre al competente ufficio del registro, entro sessanta giorni dalla dichiarazione di accettazione, le copie autentiche della accettazione stessa e del decreto recante la indicazione del valore dei beni ceduti, nonché una dichiarazione che attesti l’avvenuto trasferimento di proprietà.
10. Qualora il valore dei beni ceduti superi l’importo dell’imposta e degli accessori, al cedente non compete alcun rimborso per la differenza; ove il valore dei beni ceduti sia inferiore all’importo dell’imposta e degli accessori, il cedente è tenuto al pagamento della differenza.
11. Qualora la cessione non abbia luogo, l’erede è tenuto al pagamento dell’imposta e degli interessi moratori previsti per legge, senza applicazione di penalità. Il Ministero per i beni culturali e ambientali dà immediata comunicazione all’Ufficio del registro della mancata cessione; dalla data di ricevimento della comunicazione iniziano a decorrere i termini per il pagamento della imposta e dei relativi accessori.
 
Art. 8.
(Pagamento delle imposte dirette mediante cessione di beni culturali)
1. I soggetti tenuti al pagamento dell’Irpef o dell’Irpeg possono proporre di cedere allo Stato, per il pagamento totale o parziale ditali imposte, beni vincolati ai sensi delle leggi vigenti.
2. La proposta di cessione deve essere formulata, almeno cinque mesi prima della scadenza delle imposte cui si riferisce, alla Soprintendenza competente per territorio e comunicata contemporaneamente al competente Ufficio delle imposte; e deve essere accompagnata da una valutazione del prezzo del bene.
3. La Soprintendenza competente, entro il termine massimo di due mesi, dichiara l’interesse culturale all’acquisizione dell’opera e, dopo aver sentito il parere del competente Ufficio tecnico erariale che si intende positivo in caso di mancata pronuncia entro quindici giorni e dopo aver consultato la Commissione di cui al comma 5 dell’articolo 1, accetta oppure no il prezzo proposto. Nel primo caso la cessione si intende definitivamente accettata; nel secondo caso la Soprintendenza può controproporre un altro prezzo che il proprietario accetta o rifiuta entro il termine di un mese. In caso di accettazione la cessione è definitiva; altrimenti la proposta decade.
4. Il trasferimento giuridico della proprietà allo Stato decorre dal momento in cui, ai sensi del comma 3, la cessione si considera definitivamente accettata. Entro il mese successivo il bene deve essere materialmente consegnato pena l’annullamento della cessione.
5. Nel caso di cessione di beni immobili, il trasferimento allo Stato avviene, pena nullità, a condizione che i beni siano privi di iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli.
6. Qualora il prezzo accettato da entrambe le parti superi l’importo annuale dell’Irpef o dell’Irpeg, la somma residua è considerata come anticipo per i pagamenti degli anni successivi. Se, entro dieci anni dal trasferimento del bene, l’importo della cessione presenta un avanzo positivo rispetto alle somme richieste per il pagamento delle imposte, l’interessato può richiedere il rimborso della differenza, senza pagamento di interessi.
7. In tutti i casi qui considerati il minor introito fiscale per il mancato pagamento dell’Irpef o dell’Irpeg è reintegrato mediante trasferimento all’Erario della somma corrispondente attingendo al Fondo per gli acquisti di beni culturali di cui all’articolo 1.
8. Qualora l’Amministrazione dello Stato, per qualunque motivo, non sia interessato non sia in grado di acquisire il bene culturale al prezzo offerto dal proprietario, ne dà notizia, entro due mesi dalla proposta, alla regione, alla provincia, al comune in cui ha sede la Soprintendenza competente: la regione, la provincia o il comune hanno in tal caso un mese di tempo per accettare la proposta al prezzo indicato, o a un minor prezzo concordato col proprietario, ed acquisire il bene a loro spese.
9. Nel caso che si tratti non di beni culturali vincolati, ma di opere di autori viventi o la cui esecuzione risalga a un’età inferiore al cinquantennio, la proposta di cessione allo Stato del bene mediante pagamento dell’imposta Irpef o Irpeg può essere rivolta al proprietario di tale bene unicamente per iniziativa del Ministero per i beni culturali e ambientali, su segnalazione dei propri organi periferici, degli Istituti centrali, dei Comitati di settore del Consiglio nazionale per i beni culturali e ambientali, in particolare in occasione di mostre, di esposizioni o di pubbliche aste.
La proposta va rivolta al proprietario dell’opera, accompagnata da un’offerta circa il prezzo. Entro un mese dalla formulazione della proposta, il proprietario può accettare il prezzo offerto, e in tal caso la cessione si considera definitiva; oppure può controproporre una diversa valutazione, e in tal caso il Ministero per i beni culturali e ambientali ha un mese di tempo per esprimere il proprio consenso e portare a termine l’acquisto. Si applicano anche in questo caso le norme contenute nei commi 4, 6, 7.
10. Per le opere di arte contemporanea, la proposta di acquisto può essere rivolta al proprietario da parte del Ministero per i beni culturali, anche su richiesta degli enti locali per i loro musei. In tal caso, gli enti locali si impegnano a reintegrare l’Erario per i minori introiti fiscali.
 
Art. 9.
(Agevolazioni in casi di donazione a favore dello Stato o di enti pubblici)
1. Gli atti di donazione, sia a favore dello Stato che di enti pubblici territoriali, che abbiano ad oggetto beni culturali o altri beni o somme di denaro con la specifica destinazione all’acquisto, alla valorizzazione, al restauro, all’incremento o al pubblico godimento di beni culturali, sono preventivamente comunicati ai destinatari, i quali hanno tre mesi di tempo per decidere circa l’accettazione o meno della donazione. Per lo Stato decide il Ministero per i beni culturali e ambientali, su proposta del Comitato di settore o dei Comitati di settore riuniti del Consiglio nazionale, sentito il parere della Soprintendenza o delle Soprintendenze competenti per materia e per territorio. L’accettazione della donazione da parte dello Stato o degli enti pubblici territoriali deve essere accompagnata da una valutazione degli oneri prevedibili per la parte pubblica. In caso di accettazione, gli atti di donazione possono essere stipulati con atto pubblico rogato, a scelta del donante, dal notaio o dagli uffici roganti dell’Amministrazione beneficiaria.
2. Le amministrazioni e gli enti beneficiari hanno la facoltà di assumere provvisoriamente, prima dell’accettazione, gli oneri della custodia, conservazione e manutenzione dei beni di cui al comma 1, fatta salva, in caso di mancato perfezionamento della donazione, la rivalsa nei confronti degli obbligati.
3. I beni e le somme di denaro oggetto della donazione non possono essere destinati a scopi diversi da quelli indicati.
 
Art. 10.
(Contributi a fondo perduto e mutui a tasso agevolato per interventi di restauro o risanamento di immobili sottoposti a tutela)
1. Al fine di promuovere gli interventi più urgenti di conservazione, restauro o risanamento del patrimonio edilizio privato di interesse culturale, il secondo comma dell’articolo 3 della legge 21 dicembre 1961, n. 1552, è sostituito dal seguente:
«Le Soprintendenze redigono ogni tre anni, in rapporto all’ammontare previsto dal relativo capitolo di spesa, un elenco di opere di preminente interesse riguardanti le strutture portanti e le coperture di immobili vincolati di proprietà privata, opere per le quali viene preventivato un contributo fino al 30 per cento delle spese, con un massimo di lire 150 milioni.
Tale limite massimo è elevabile ogni triennio con decreto del Ministro per i beni culturali e ambientali in proporzione all’aumento medio dei costi. Se le opere non sono realizzate entro il triennio, il contributo si riduce alla metà. Il contributo è versato per la metà all’inizio dei lavori, per la metà alla loro conclusione sulla base di una dichiarazione giurata del direttore dei lavori circa i tempi di esecuzione e l’ammontare delle spese».
2. Le convenzioni previste dall’articolo 3 della legge 21 dicembre 1961, n. 1552, per gli immobili restaurati a carico totale o parziale dello Stato possono prevedere l’accessibilità al pubblico per un limite massimo di trent’anni nel primo caso e di venti anni nel secondo.
3. A favore dei proprietari di immobili vincolati che eseguano sugli immobili stessi interventi di conservazione e di restauro può essere concesso un contributo in conto interessi nella misura del 3 per cento annuo per mutui di durata decennale e dell’ammontare massimo del 50 per cento delle spese preventivate e in ogni caso per non più di lire 300 milioni. Sia il tasso di interesse sia l’ammontare massimo del mutuo sono modificabili ogni triennio con decreto del Ministro per i beni culturali e ambientali, in rapporto all’andamento dell’inflazione. Per la copertura del contributo in conto interessi il Ministro per i beni culturali e ambientali mette ogni anno a disposizione degli istituti di credito, con i quali stipula apposita convenzione, una quota del fondo di cui all’articolo 1. Le domande di mutuo, da presentare annualmente, sono prese in considerazione dagli istituti di credito convenzionati secondo l’ordine cronologico di presentazione, e devono essere corredate dal progetto approvato dalla competente Soprintendenza e dalla concessione edilizia, ove prescritto, nonché da una dichiarazione giurata del progettista e del direttore dei lavori circa i tempi di esecuzione e circa l’ammontare delle spese. Sulla concessione del mutuo decide l’istituto di credito mutuante.
4. Gli interessi dei mutui ipotecari rimasti a carico del proprietario sono deducibili dal reddito delle persone fisiche e giuridiche fino all’ammontare massimo previsto per i mutui di cui all’articolo 7 della legge 22 aprile 1982, n. 168.
 
Art. 11.
(Agevolazioni fiscali per l’importazione dei beni culturali)
1. L’importazione dall’estero, fatta eccezione per gli Stati membri della Comunità economica europea, di opere di arte contemporanee o di beni che, per il loro autore o per la loro provenienza originaria, siano considerati parte integrante del patrimonio culturale italiano e siano riconosciuti come tali dall’Ufficio importazione competente per territorio del Ministero per i beni culturali e ambientali è esente dalle relative imposte a condizione che:
a) il bene sia proposto per la notificazione e effettivamente notificato entro tre mesi, pena l’annullamento dell’esenzione, ovvero, quando sia opera di autore vivente o realizzata da meno di cinquanta anni, l’interesse culturale sia attestato in una certificazione della Soprintendenza ai beni artistici e storici del territorio in cui ha sede l’Ufficio importazione;
b) l’acquirente del bene si impegni in ogni caso a conservarlo per non meno di trenta anni sul territorio italiano, dando comunicazione all’Ufficio importazione d’origine e alle Soprintendenze competenti per territorio di ogni successivo trasferimento o passaggio di proprietà;
c) l’acquirente sottoscriva l’impegno, valido anche per i successivi proprietari, di esporre periodicamente il bene nel museo indicato dalla Soprintendenza ove egli risiede o per altre esposizioni o mostre temporanee di specifico interesse, su richiesta di tale Soprintendenza.
2. Il mancato assolvimento delle condizioni e degli impegni indicati nel comma 1 comporta la decadenza delle agevolazioni fiscali fruite e il pagamento di una pena pecuniaria pari a tre volte l’importo di tali agevolazioni nonché degli oneri accessori.
 
Art. 12.
(Accertamento presuntivo del reddito)
1. Ai fini dell’applicazione delle norme sull’accertamento presuntivo del reddito, di cui all’articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni e integrazioni, la superficie delle unità immobiliari vincolate ed adibite ad abitazione principale o secondaria del proprietario è in ogni caso considerata di metri quadrati 300, se l’effettiva consistenza superi tale dimensione.
 
Art. 13.
(Norme abrogate)
Sono abrogati gli articoli 1, 2, 3, 6, 7, 8, e successive modificazioni, della legge 2 agosto 1982, n. 12.
 

Contro la dequalificazione dei concorsi e delle carriere*
* Il testo che pubblichiamo è l’interrogazione presentata dalla sen. Anna Bucciarelli al Ministro per i beni culturali e ambientali, in data 5 ottobre 1994, sull’importante problema dei percorsi formativi, dei concorsi e dei requisiti professionali di funzionari tecnico-scientifici dell’Amministrazione dei beni culturali.
 
Premesso che risulta imminente la pubblicazione del bando di concorso per ispettori storici dell’arte ed archeologi, primo gradino del ruolo del personale tecnico del Ministero per i beni culturali e ambientali corrispondente all’ottavo livello di impiego nella pubblica amministrazione;
che nel bando suddetto non viene più richiesta, come in passato, la Specializzazione post-lauream come requisito fondamentale, essendo ritenuta sufficiente la sola laurea in Lettere o beni culturali e, forse, il diploma di Magistero e del Dams, senza per altro alcuna specificazione relativa all’indirizzo di studio;
che occasione di questo cambiamento è stata la nuova normativa per le assunzioni nel pubblico impiego, DPR 9 maggio 1994, n. 487, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 9 agosto 1994, secondo il quale (art. 2, comma 6) si prescrive il diploma di laurea come sola condizione per accedere all’ottavo livello della pubblica amministrazione;
che il bando di concorso in elaborazione comporterà di fatto la ridefinizione (la cancellazione?) del profilo professionale dei tecnici — storici dell’arte ed archeologi — nel Ministero per i beni culturali: una riscrittura che si fonda sulla definitiva messa in mora degli studi di storia dell’arte e di archeologia, come indispensabili percorsi formativi per la conoscenza e la conservazione del patrimonio artistico ed archeologico;
che se il bando di concorso fosse approvato e pubblicato nei termini esposti, anche una persona che non avesse sostenuto nel corso della carriera universitaria un solo esame di storia dell’arte o di archeologia potrebbe accedere a ruoli essenziali nella gestione dei beni culturali in modo da sancire, nella sostanza, l’assoluta inutilità di una formazione specifica nei campi dell’archeologia e della storia dell’arte;
che per insegnare storia dell’arte nella scuola secondaria superiore si richiede che il candidato abbia nel suo curriculumuniversitario almeno un esame di storia dell’arte. Mentre d’ora in poi per la gestione dei beni culturali non sarebbe necessario neanche questo requisito minimo;
che il DPR 1219/1984 stabilisce che già l’accesso ai ruoli di «collaboratore storico dell’arte» ed «archeologo» (settimo livello di qualifica funzionale) sia condizionato alla frequenza di un corso di Specializzazione, rispettivamente «della durata di almeno un anno» e «biennale»: laddove per accedere al ruolo tecnico di «storico dell’arte» o «archeologo» (ottavo livello) si richiede il conseguimento del diploma di Specializzazione, in storia dell’arte («almeno biennale») o in archeologia: mentre l’intervento attuale segnerebbe una inversione di tendenza sconcertante e del tutto priva di senso, dal momento che il diploma di Specializzazione, conseguito da numerosi studenti ed anche — spesso con notevole sacrificio personale — da dipendenti del Ministero per i beni culturali e ambientali, risulterebbe di conseguenza non più necessario;
che tutto questo avviene, tra l’altro, mentre sono ormai arrivati a concludere il loro ciclo di studi i primi allievi delle facoltà di Conservazione in beni culturali, facoltà universitarie create con lo scopo di formare un personale tecnico qualificato alla gestione dell’enorme — ancora non per molto — patrimonio storico-artistico ed archeologico di questo Paese, al punto che ci si domanda con quale coerenza di intenti si sia favorita la creazione di una linea di studi specificamente orientata alla conservazione, quando poi si opera per disconoscerne così pIatealmente la peculiarità d’indirizzo;
che se effettivamente il testo del bando di concorso dovesse essere formalizzato in questi termini, sarebbe per ciò formalizzato anche un autentico stravolgimento dell’attività del Ministero per i beni culturali;
si chiede di sapere:
quali siano gli orientamenti del Ministro in ordine all’esigenza di salvaguardare la specificità del Ministero per i beni culturali e ambientali salvaguardando per ciò stesso la specificità dei tecnici preposti alla tutela e conservazione;
se a tal fine non ritenga indispensabile mantenere, per l’accesso al ruolo degli ispettori storici dell’arte ed archeologi, il requisito del diploma di Specializzazione post-laurea in Lettere con espresso riferimento all’indirizzo archeologico o storico-artistico;
se non ritenga più in generale indispensabile reagire alla tendenza che vede frustrate le competenze tecniche e professionali dei funzionari di settore, mentre favorisce la confusione di profili e competenze fra personale specializzato e personale amministrativo, confusione che appare tra l’altro contraria ad ogni logica di razionalizzazione e produttività nella gestione del personale stesso.
 

Perché siamo contro il condono edilizio*
* Documento approvato il 6 agosto 1994 dal Comitato esecutivo dell’Associazione Bianchi Bandinelli.
 
L’Associazione «Istituto Ranuccio Bianchi Bandinelli», fondata da Giulio Carlo Argan, alla quale aderiscono studiosi, docenti, funzionari tecnico-scientifici, amministratori, dirigenti di istituzioni culturali impegnati nell’azione per la salvaguardia, la tutela, la valorizzazione del patrimonio culturale del nostro paese, esprime il più vivo allarme per il decreto sul condono edilizio deciso dal governo. Negli ultimi decenni — è detto in un appello diffuso dall’Associazione — il condono edilizio ha costantemente accompagnato, sorretto, giustificato la politica di speculazione edilizia e di devastazione e rapina del territorio: una politica che non solo ha prodotto danni irreparabili per l’ambiente naturale, per il paesaggio, per i centri storici e per l’assetto urbanistico e territoriale, ma è stata — ben più dell’usura del tempo, delle catastrofi naturali, dei furti, delle vendite illegali — una causa fondamentale della distruzione o comunque del logoramento e dell’impoverimento di tanta parte del patrimonio artistico e storico e delle bellezze ambientali dell’Italia.
E ciò senza recare alcun sostanziale vantaggio alle finanze dei Comuni e in generale alla finanza pubblica: al contrario l’abusivismo ha sempre portato a una crescita irrazionale incontrollata delle spese per le opere di urbanizzazione. Arrestare questo processo rovinoso e distruttivo è dunque un dovere per la coscienza civile e culturale.
Per questo l’Associazione Bianchi Bandinelli rivolge un appello a tutte le forze della cultura e chiede al governo di ritirare il decreto o di accettare, comunque, che esso sia radicalmente modificato. Ciò che serve non è un condono che premi l’illegalità e con ciò ne favorisca la riproduzione. Servono al contrario misure riformatrici che, semplificando la normativa urbanistica, le procedure burocratiche, le pratiche per le concessioni, aiutando i Comuni a dotarsi di moderni strumenti urbanistici, promuovendo anche con incentivi un corretto sviluppo edilizio, tolgano ogni giustificazione all’abusivismo e promuovano una crescita che sia in armonia con l’ambiente e col patrimonio culturale del paese.
 

Sì all’autonomia, no alla privatizzazione dei musei e beni culturali*
* Documento approvato il 26 settembre 1994 dal Comitato esecutivo dell’Associazione Bianchi Bandinelli.
 
Il Comitato esecutivo dell’Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli, fondata da Giulio Carlo Argan, ha espresso — nel corso di una riunione tenuta oggi a Roma — sorpresa, preoccupazione ed allarme per l’annuncio dato da alcuni ministri che nell’allegato alla prossima legge finanziaria verrebbe prevista la privatizzazione della gestione dei musei e beni culturali, al fine di renderli «redditizi». In proposito il Comitato esecutivo ha ricordato che da tempo sia il mondo della cultura, sia qualificate forze politiche hanno formulato precise proposte, tradotte anche in disegni di legge, per rivendicare a Soprintendenze e Musei ampia autonomia non solo culturale e scientifica ma di organizzazione e di gestione amministrativa. Ciò al fine di valorizzare realmente le competenze tecniche e scientifiche e di consentire una più ampia iniziativa anche economica, nonché la fornitura di servizi più qualificati per il pubblico: prevedendo fra l’altro la possibilità di affidare a enti, privati, cooperative taluni di questi servizi, e non solo quelli per la vendita dei cataloghi o la ristorazione e la caffetteria, come previsto dalla legge Ronchey, ma l’attività editoriale, le riproduzioni fotografiche, cinematografiche e televisive, la promozione di associazioni o fondazioni di sostegno dell’attività museale, etc. Tutto questo, però, non significa e non può significare, in alcun modo, privatizzazione dei musei e dei beni culturali: tutela, restauro, valorizzazione del patrimonio culturale sono infatti obbligo costituzionale e compito eminentemente pubblico e la stessa gestione dei servizi per i visitatori deve sempre svolgersi sotto la responsabilità di chi ha la direzione culturale e scientifica di Soprintendenze e Musei.
Il comitato esecutivo dell’Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli ha rilevato, al tempo stesso, che proposte di privatizzazione come quelle formulate rivelano oltretutto una grave incompetenza e una visione gretta e meschina della redditività del patrimonio culturale. E infatti del tutto assurdo pensare che tale redditività si possa misurare attraverso il bilancio dei singoli musei. Essa va invece valutata, da un lato, attraverso l’introito complessivo delle attività collegate ai beni culturali, a partire dal turismo e dalle altre attività connesse; e non può d’altro lato essere considerata solo in termini immediatamente economici, ma in rapporto a tutto ciò che il patrimonio culturale rappresenta, in termini di civiltà, per un paese come l’Italia.
L’Associazione Bianchi Bandinelli auspica perciò che non si intraprendano iniziative sbagliate e pericolose; e che, invece, ci si decida finalmente a superare una gestione ispirata a centralismo e burocratismo e si dia avvio a una riforma nel senso del decentramento e dell’autonomia che sono la chiave di volta per una più piena valorizzazione di questo patrimonio.
 

Ripensare la politica dei beni culturali. Le proposte dell’Associazione Bianchi Bandinelli*
* Odg. approvato dall’Assemblea dei soci dell’Associazione Bianchi Bandinelli, svoltasi il 25 novembre 1994.
 
L’Assemblea dei soci dell’Associazione «Istituto di studi, ricerche e formazione Ranuccio Bianchi Bandinelli», fondata da Giulio Carlo Argan, esprime viva preoccupazione per il taglio che la legge finanziaria attualmente in discussione opera — in percentuale forse maggiore che per ogni altro Ministero — nel bilancio destinato ai beni culturali e ambientali, e particolarmente per quel che riguarda le spese in conto capitale, cioè quelle riservate agli investimenti. Questa scelta conferma una linea che tende a marginalizzare ulteriormente questo settore; e non può che aggravare le condizioni generali che caratterizzano l’ordinamento e la politica dei beni culturali e ambientali. Infatti tali condizioni sono rimaste — e appaiono in modo sempre più evidente — gravemente inadeguate rispetto all’esigenza di far convergere in modo positivo l’impegno dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali, delle altre istituzioni, delle Associazioni e dei privati attorno all’obiettivo di realizzare una più ampia ed efficace azione di tutela, recupero, valorizzazione di un patrimonio culturale e ambientale che è fondamentale per l’identità dell’Italia. Un patrimonio che nonostante le dispersioni e le devastazioni che purtroppo sono avvenute rappresenta tuttora — anche ai fini economici oltre che come testimonianza di cultura e di civiltà — una risorsa essenziale, che dovrebbe perciò essere considerata di carattere strategico, per il nostro paese.
La radicale inadeguatezza dell’attuale ordinamento e della politica sin qui praticata sono il frutto di una pluridecennale serie di inadempienze, errori, ritardi di cui si ricordano alcuni momenti essenziali. Risalendo agli inizi del dibattito sulla riforma, tali inadempienze, errori, ritardi possono essere così riassunti:
— la messa in un cassetto, come carta straccia, delle analisi e delle indicazioni (che pure almeno in parte ancora conservano notevoli elementi di validità) scaturite dai lavori della Commissione parlamentare di indagine presieduta dall’on. Franceschini che operò tra il 1964 e il 1966;
— la mancata attuazione dell’impegno assunto al momento della costituzione delle Regioni e sancito nel decreto 616 del 1977 di procedere entro breve tempo a una revisione e ridefinizione delle competenze e dei rapporti, in materia di beni culturali e ambientali, fra Stato, Regioni, Enti locali;
— la vita grama e stentata del nuovo Ministero per i beni culturali e ambientali, istituito nel 1975 coll’ambizione di essere un ministero «atipico», di carattere tecnico e scientifico, e in realtà rimasto sempre lontano da tale obiettivo, oppresso com’è dalla sottovalutazione nell’ambito del governo come ministero di seconda serie, privo perciò di autorevolezza politica e ridotto ad avvalersi solo delle briciole (in media lo 0,20 per cento annuo, e ora ancor meno) del bilancio statale;
— il mancato sviluppo, a differenza di quello che per questi stessi anni è accaduto negli altri paesi della Comunità europea, nella direzione dell’autonomia e del decentramento (è cresciuto, al contrario il peso della mentalità burocratica e centralistica, a danno delle esigenze tecnico-culturali e delle necessità degli uffici periferici) e l’insufficiente connessione, da un lato, con i problemi generali della conoscenza e della ricerca, dall’altra con la programmazione e con lo sviluppo delle città e del territorio;
— il prevalere della logica dell’intervento straordinario (giacimenti culturali, fondi Fio, leggi eccezionali come quella per i terremoti, e di conseguenza il ricorso sempre più frequente alle concessioni), deprimendo invece la capacità ordinaria di prevenzione, conservazione, tutela;
— l’assenza di una politica sistematica diretta a ricercare la cooperazione e il confronto tra il pubblico e il privato in un così delicato settore, in modo da coinvolgere concretamente anche i privati nell’impegno per una più estesa e diffusa azione di salvaguardia, tutela, restauro dei beni culturali: anzi sostanziali passi indietro sono stati compiuti al riguardo rispetto alle parziali misure di agevolazione previste, con risultati che pure erano stati positivi, dalla legge 512 del 1982;
— l’inadeguata valorizzazione del patrimonio umano di capacità e competenza ed anzi la mortificazione del personale tecnico-scientifico operante negli organi di tutela a causa di uno stato giuridico di tipo tradizionalmente burocratico, che non sollecita responsabilità e iniziative, e di livelli retributivi che non hanno alcun rapporto con settori analoghi quali la ricerca e l’Università.
Rispetto alla gravità dei ritardi e delle carenze qui richiamate e alla complessità dai problemi che ne emergono, appare del tutto insufficiente (e per molti aspetti può anche essere controproducente) un parziale rimaneggiamento dell’attuale organizzazione del Ministero attraverso l’accorpamento del settore dei beni culturali e ambientali con le residue competenze in materia di spettacolo rimaste al governo dopo la soppressione del Ministero del turismo e dello spettacolo. Non si risolverebbe in questo modo né il problema di dare al nuovo Ministero un adeguato peso politico né quello di valorizzare e articolare adeguatamente, anche in sede istituzionale, le connessioni con altri campi delle attività culturali (per esempio quelli della ricerca e dell’Università, rispetto ai quali si accentuerebbe anzi la separatezza). Si avrebbe d’altro canto il rischio di dare un eguale ordinamento amministrativo a settori di intervento pubblico che costituiscono sistemi retti da logiche assai differenti, come sono il sistema della gestione e della tutela del patrimonio storico e culturale ereditato dal passato e quello costituito dagli strumenti per la promozione di nuova produzione culturale (arte, cultura, spettacolo) e per la sua conoscenza e diffusione: col pericolo di far prevalere anche per i beni culturali una logica di tipo «spettacolare» (che privilegi cioè l’azione per mostre ed esposizioni rispetto a quella tecnicamente e scientificamente più impegnativa per la prevenzione, la conservazione, il restauro) senza peraltro dare soluzione ai molti problemi, anche istituzionali, in precedenza richiamati.
L’Assemblea dell’Associazione «Istituto Bianchi Bandinelli» sollecita perciò le forze politiche e il governo a impegnarsi per rovesciare questa tendenza e per elaborare in tempi brevi — scartando soluzioni poco mediate e promuovendo il confronto con le forze della cultura oltre che con le rappresentanze parlamentari — una linea di iniziative e di riforme legislative e ordinamentali diretta ad affrontare efficacemente questi problemi. In sintesi:
1. è sotto molti profili essenziale e prioritario dare agli interventi del governo nei diversi campi della cultura un assetto che sia coerente con la logica di sistema che deve presiedere a ciascun settore: evitando perciò l’attuale sparpagliamento di competenze fra vari ministeri e riordinandole invece attorno a tre finalità essenziali (la ricerca e il suo intreccio con la formazione superiore; la conservazione del patrimonio storico e culturale; la promozione e la diffusione della cultura) ma potenziando tra i vari settori anche le opportune connessioni e sinergie. Questo obiettivo comporta una coerente unificazione nei tre Ministeri che corrispondono a questi sistemi (Ricerca e Università; Beni culturali e ambientali; Promozione e attività culturali) delle troppe competenze oggi frazionate anche tra Ministeri diversi (Presidenza del Consiglio; Interno; Affari esteri; Industria; Poste e telecomunicazioni, etc.); e un efficace coordinamento tra tali Ministeri nell’ambito del governo. Ma si può anche guardare, come punto d’arrivo, a un grande Ministero unico per la Cultura e la Ricerca che davvero presieda a tutti questi settori, articolandosi però — ovviamente — in Dipartimenti in corrispondenza di ciascuno dei sistemi omogenei sopra richiamati;
2. l’accorpamento dei ministeri e l’unificazione delle competenze è, però, solo un aspetto delle più rilevanti questioni di ordinamento che oggi si pongono. Non meno, ed anzi ancora più importante, è invertire la paralizzante tendenza al verticismo e al burocratismo e al mancato raccordo tra i diversi livelli delle responsabilità e dell’intervento pubblico: occorre perciò rovesciare questa tendenza procedendo con decisione su una linea di autonomia e decentramento, nel quadro della necessaria riforma e dell’ammodernamento della Pubblica Amministrazione. Per i beni culturali e ambientali ciò deve significare soprattutto due cose: dare effettiva autonomia di gestione — oltre che culturale e scientifica — ai vari istituti in cui oggi si articola l’organizzazione statale della tutela, cioè a Soprintendenze, Musei, Biblioteche statali, Archivi, etc., naturalmente in rapporto alle diverse responsabilità di ciascuno di essi; dare avvio a un nuovo rapporto di collaborazione e a un sistema integrato di competenze tra Stato, Regioni, Enti locali, a partire dall’approvazione e dalla messa in atto della convenzione già predisposta tra Stato e Regioni e dalla valorizzazione dello strumento rappresentato dagli accordi di programma. Già da tempo sono state elaborate, a questo riguardo, adeguate proposte legislative e non legislative. Occorre procedere decisamente su questa strada, se non ci si vuole fermare a risultati molto modesti e in buona parte pressoché nulli, come è il caso dell’ultima legge sull’autonomia dei musei;
3. non è pensabile di compiere un’effettiva svolta e di mobilitare tutte le energie e le risorse necessarie per la salvaguardia del nostro patrimonio culturale e ambientale se non instaurando un nuovo e fecondo rapporto tra pubblico e privato. I primi passi compiuti, per promuovere questo più fecondo rapporto, con la legge 512 del 1982 si sono (o meglio si erano) dimostrati efficaci, ma sono stati in larga parte vanificati prima dalla mancata applicazione, per il continuo rinvio del regolamento di attuazione, di molte norme importanti; poi dalla riduzione delle agevolazioni Irpef e dall’aumento dell’Iva per i lavori di restauro e dalla persistente modestia dei fondi a disposizione per la concessione di mutui agevolati per l’esecuzione di tali lavori. Una piattaforma assai più organica e assai più avanzata, su questa materia e su molti altri problemi connessi, era già in discussione in sede legislativa al Senato nella scorsa legislatura: è necessario giungere, al riguardo, al varo sollecito di una legge e di una politica profondamente innovativa;
4. grande attenzione va dedicata ai problemi della formazione universitaria del personale tecnico-scientifico, da cui dipende l’auspicato salto di qualità nella gestione dei beni culturali: nonché ai temi del reclutamento, delle carriere, dello stato giuridico ed economico. Non poche perplessità sono emerse sul proliferare dei corsi di laurea in beni culturali con l’ultimo piano triennale, mentre sono state sollevate critiche di indubbia fondatezza su tutto il complesso dell’organizzazione didattica e scientifica della formazione universitaria degli operatori dei beni culturali. Questa va ridisegnata nei vari livelli in cui si articola (diploma, laurea, dottorato, specializzazione), in modo da garantire professionalità più ricche e complete, aperte all’uso delle tecnologie richieste da una moderna gestione dei beni culturali, con percorsi formativi specialistici, adeguati alle esigenze di una più avanzata ricerca. In parallelo, andranno ridefiniti i profili professionali, in modo da creare un rapporto coerente tra requisiti di ammissione e reclutamento, tra titoli culturali e carriera. Proprio per questo è assolutamente negativa l’ipotesi di bandi di concorso per archeologi, storici dell’arte, archivisti, bibliotecari che richiedano un semplice e generico titolo di laurea: la base non può non essere la specializzazione successiva alla laurea. Una maggiore omogeneità di trattamenti col comparto ricerca e con quello universitario appare indispensabile sia per continuare a garantire un alto livello di qualificazione sia per rendere possibile un più agevole interscambio tra le diverse carriere. Particolare attenzione va data, promuovendo in tempi brevi un’adeguata soluzione, anche alla formazione e alla qualificazione professionale dei restauratori: combattendo la proliferazione di brevi corsi che non possono dare serie garanzie, promuovendo la costituzione a livello regionale di scuole laboratorio quadriennali sotto la vigilanza e con la cooperazione dell’Istituto Centrale per il Restauro, dell’Opificio per le Pietre Dure, dell’Istituto per la Patologia del libro, prevedendo la costituzione di un albo dei restauratori con un serio e impegnativo accertamento dei requisiti culturali e professionali. Analoghi albi vanno previsti per archeologi, storici dell’arte, archivisti, bibliotecari;
5. è estremamente urgente, al fine di garantire il più possibile nei rapporti internazionali la tutela del nostro patrimonio culturale, varare rapidamente la legge di recepimento delle Direttive e del Regolamento Cee sulla disciplina della circolazione dei beni, nonché sul potenziamento della documentazione e del censimento del patrimonio nazionale e sul rafforzamento degli Uffici esportazione. Un testo legislativo soddisfacente era già stato varato dal Senato prima della fine della legislatura; ma pur avvalendosi delle procedure abbreviate previste in questi casi dai regolamenti parlamentari al fine di giungere rapidamente all’approvazione definitiva della legge, la discussione sul provvedimento è proceduta finora a rilento al Senato. Si auspica, perciò, che incertezza e difficoltà siano superate, così da procedere al più presto al varo di questo testo legislativo;
6. una particolare attenzione va dedicata al dibattito in corso sulla nuova legge per i Lavori Pubblici. È interesse generale del Paese che non si compiano gravi passi indietro rispetto ai principi di maggiore razionalità negli interventi affermati nella legge Merloni. Al tempo stesso vanno adeguatamente garantite le specifiche esigenze del settore dei beni culturali.
Le misure qui indicate sono, come è evidente, quelle che presentano carattere di maggiore urgenza. Ma esse non possono far dimenticare né la necessità di un’attenta revisione della legge di tutela del 1939 né l’esigenza che ci si decida finalmente a destinare ai beni culturali una percentuale del bilancio statale che vada oltre i livelli indecenti sin qui rimasti non superati.
 

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